Se il re delle fiction ha solo ventisette anni
Marco Cassini è nato a Teramo ventisette anni fa ed è innamorato della propria città, ma negli ultimi tempi riesce a tornarci pochissimo. Lo incontriamo con le valigie in mano mentre è in partenza per Dubrovnik per girare l’ultima serie de “I Borgia”, la fiction prodotta da Tom Fontana e Atlantique Productions che racconta le vicende e gli intrighi di una delle famiglie più influenti nella Roma rinascimentale.
Starà via un mese, “prigioniero” del set di una serie televisiva che ha schiere di appassionati su Sky Cinema. Cassini impersona Pietro Bembo, miglior amico della protagonista Lucrezia Borgia.
Cassini, contento di partire?
«Assolutamente sì. Il ruolo che mi hanno affidato è molto interessante. All’inizio non doveva durare così tanto, poi mi hanno confidato di voler proseguire perché soddisfatti del lavoro che avevo fatto. Di questo, in particolare, sono contento. Non era facile per me perché dovevo recitare in lingua inglese».
Doppiamente impegnativo, insomma…
«Sì, anche per via degli orari, molto diversi da quelli a cui siamo abituati. Si lavora dalle quattro del mattino alle nove di sera, praticamente non ci si riposa mai. I miei genitori, la mia ragazza, le persone a me vicine sanno bene che quando parto è come se sparissi per un po’».
Com’è diventato attore?
«A diciassette anni ho iniziato ad approfondire la mia conoscenza del cinema e a vedere moltissimi film. Una passione che mi ha portato a chiedere in regalo ai miei genitori una telecamera. Con questa ho iniziato a realizzare dei video e a costruire delle storie. Da qui la scelta di tentare la strada del cinema».
Come è entrato nel mondo del cinema?
«A diciannove anni feci il provino al Centro sperimentale di cinematografia. Mi dissero che ero troppo giovane e troppo acerbo, ovviamente, ma che avevo un buon viso. Un incoraggiamento a proseguire che veniva direttamente dalla voce di Caterina d’Amico (attuale preside della Scuola nazionale di cinema, ndr)».
Nel frattempo studiava da attore?
«Sì, nel frattempo seguivo a Teramo le lezioni di Silvio Araclio a Spazio Tre Teatro. E così, grazie a quell’incoraggiamento e a questa esperienza, ho scoperto la vocazione attoriale».
Ritiene che il suo viso l’abbia aiutata ad avere successo?
«Da una parte sì, dall’altra non ho mai mostrato, neanche alla Scuola del cinema, la tendenza che hanno tutti gli attori a voler stare sul palco e ad apparire. Io non sono così. Non sono mai stato quello che si dice un animale da palco né mi sono mai buttato in tutti i ruoli».
Scarterebbe dei ruoli se glieli offrissero?
«Non mi interessa fare tutto. Direi che ho più la tendenza a selezionare le cose che mi colpiscono e poi a immergermi nello studio del personaggio approfondendo al massimo il ruolo e mettendoci tutta l’energia possibile. Questo non vuol dire che la mia faccia non mi abbia aiutato per “Don Matteo” o per le altre serie televisive che ho girato».
Essere attore significa avere nel sangue qualcosa o padroneggiare una tecnica?
«Tutte e due le cose. Certo, sicuramente significa padroneggiare una tecnica, quella che ti consente di recitare nel ruolo che ti hanno affidato, magari in inglese se te lo chiedono. Bisogna studiare molto, in ogni caso. Tante cose io le ho imparate guardando i film e cercando di capire cos’è che funzionava».
Quali sono, secondo lei, le cose di cui un attore non può fare a meno?
«Sapere dov’è la macchina da presa, quindi dov’è il pubblico. Avere portamento vocale, il che significa sapere fin dove arriva la tua voce in una sala e adattare di conseguenza la recitazione alla capacità del pubblico di guardare i tuoi movimenti e le tue espressioni e ascoltare cosa dici. C’è differenza tra fare una lettura in un caffè, dunque in un ambiente molto piccolo, e recitare in teatro».
Un attore bravo è tanto più naturale o tanto più preparato?
«Anche in questo caso si tratta di un mix di tutte e due le cose. Giannini e Volonté, per citare due mostri di bravura, sono naturali ma anche preparatissimi».
L’attore che ha ammirato di più?
«Forse Mastroianni ne “La dolce vita”. Semplicemente geniale. Lui era capace di arrivare subito al pubblico. Era molto vero, ci credi sempre a quello che dice e questo per il cinema è fondamentale. Alcuni attori pensano che sia un passo indietro e non lo fanno. Sbagliano, così rimangono nella sfera teatrale».
Quanti sacrifici impone la vita di un attore?
«Tanti, a cominciare dalla rinuncia agli affetti e ai luoghi dove sono le persone a cui vuoi bene. Ti devi allontanare per forza e cambiare spesso città. E ti devi adattare, altrimenti rischi la spersonalizzazione. E poi c’è la fase in cui non si lavora. Si sta fermi, nell’attesa che il tuo agente ti chiami o quel progetto a cui stai lavorando si concretizzi. A sostenermi, per fortuna, ci sono la mia famiglia e una città accogliente dove, appena posso, torno. A questo non potrei mai rinunciare».
CHI È
Marco Cassini nasce a Teramo il 17 maggio 1986. All’età di 17 anni dirige il suo primo cortometraggio. Terminato il liceo, viene ammesso al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove ha modo di conoscere Marco Bellocchio , Giancarlo Giannini e Lina Wertmuller. Non è neanche diplomato quando il regista Daniele Cascella gli affida un ruolo impegnativo nel film “La Canarina Assassinata”. Alla scia di consensi, segue l’invito del regista David Warren (“Desperate Housewives”) a volare a Los Angeles, dove Cassini lavora anche per un film diretto da Maureen Murphy oltre che come assistente alle riprese di “Desperate Housewives”. Nel 2008 conclude il periodo del Centro sperimentale con un lavoro per la Lux Vide: Don Matteo 7, protagonista di puntata. Nel 2009 è Aldo Tiburzio nella serie tv “Fuoriclasse” con Luciana Littizzetto . A soli 23 anni, nel mese di gennaio 2010, Cassini ottiene il massimo degli incassi registrato al teatro “Sal’8” Testaccio con uno spettacolo teatrale da lui scritto e diretto, “La Porta sul Buio”, che coinvolge diversi ex allievi del Centro sperimentale di cinematografia. Gira “Una canzone per te”, film diretto da Herbert Simone Paragnani, nel ruolo dell’antagonista Alberto. Dal film di Paragnani passa ai ruoli da coprotagonista e protagonista in diverse serie tv nazionali e non solo: nel 2011 è Enrico Trotta nella serie “Un medico in famiglia 7”, ruolo per cui ottiene un premio come migliore attore emergente al “Napoli Cultural Classic”; nel 2012 è il coprotagonista Pietro Bembo ne “I Borgia Season 2” e poi protagonista del film diretto da Luca Manfredi “L’ultimo Papa Re”. Un altro ruolo da protagonista lo ottiene nel giugno 2012 con “Anatema”, sempre di Paragnani.
Nicola Catenaro
Intervista pubblicata su “La Città quotidiano” del 9 gennaio 2014