«Il Vate? Potrebbe essere il testimonial dell’Abruzzo»
Enrico Di Carlo è un giornalista, dunque un collega. Ed è anche uno studioso esperto di Gabriele d’Annunzio, di cui ha pubblicato vari volumi. Due circostanze che ignoravo quando, esattamente venti anni fa, mi aggiravo tra gli scaffali della biblioteca dell’università di Teramo (dove il nostro lavora) a caccia di manuali di diritto penale, criminologia, medicina legale e bioetica.
Ma erano altri tempi e le piacevoli chiacchierate che, nelle rare pause del tour de force per discutere la mia tesi di laurea (relatore, il grande prof Guglielmo Marconi), facevo con Enrico non si tramutarono mai in un’intervista. Rimedio. Ora.
Enrico, ma il tuo primo incontro con D’Annunzio quando è avvenuto?
«All’Università. Ho frequentato la Facoltà di Lettere della “D’Annunzio”, nella mia città, Chieti, sostenendo due esami di Letteratura italiana, i cui rispettivi corsi monografici furono incentrati proprio sull’opera dannunziana. Al termine degli studi, mi sono laureato discutendo la tesi sulla tragedia pastorale La figlia di Iorio».
Preferisci il D’Annunzio romanziere, drammaturgo o poeta? E perché?
«La produzione dannunziana è estremamente ampia. Rimane, pertanto, difficile poter rispondere in poche battute. Preferisco, piuttosto, indicare, La figlia di Iorio, tra le tragedie; Il Piacere e il Trionfo della morte, tra i romanzi; e penso ad alcune liriche dell’Alcyone, per quanto riguarda il D’Annunzio poeta».
D’Annunzio era profondamente legato all’Abruzzo, e i tuoi libri, in particolare gli ultimi due che si occupano rispettivamente dei “luoghi della memoria” e della gastronomia abruzzesi, lo dimostrano chiaramente. Era un rapporto quasi fisico con la sua terra, o no?
«D’Annunzio ebbe, con la sua regione, un rapporto oscillante tra i due estremi dell’amore e del rifiuto, soprattutto dopo essere stato eletto deputato nel 1897. Ma, pur tuttavia, si tratta di un rapporto che formerà un’unità inscindibile per l’uomo e per il letterato. Rileggere i romanzi o le liriche, d’ispirazione abruzzese, o le epistole più intime inviate alle amanti, o quelle nostalgiche agli amici conterranei, consente di ripercorrere gli itinerari dell’anima dello scrittore: itinerari che si rincorrono silenti, incastonati tra la montagna e il mare».
Cosa l’Abruzzo ha dimenticato di D’Annunzio?
«Ha dimenticato che potrebbe essere il testimonial di questa regione, piaccia o no. Ha dimenticato che potremmo vivere di turismo anche creando degli specifici itinerari dannunziani. Così abbiamo assistito impassibili e impotenti, lo scorso anno, alla distruzione totale del trabocco del Turchino, quello del Trionfo della morte, per intenderci, collocato in un tratto di costa tra i più incantevoli d’Italia. Si disse a causa delle continue mareggiate. Ma, io direi, a causa dell’ignoranza e della insensibilità. Vorrei poi ricordare che, sempre l’anno scorso, l’amministrazione comunale di Pescara, appena insediatasi, decise di cancellare dalle lettere, dal materiale cartaceo, dai manifesti e dal sito web del Comune il logo “Pescara città dannunziana”. Non so se, e in quale termini, la proposta abbia avuto seguito. Certo è che vorrei chiedere, per non allontanarci troppo, alla città di Recanati se lo stesso abbiano ipotizzato per Leopardi».
Qualcosa di buono sarà stato fatto, o no?
«Certamente sì. Basti pensare alla straordinaria attività svolta a Chieti dalla Facoltà di Lettere e a Pescara dal Centro Studi Dannunziani, della Fondazione Tiboni, alle quali si affiancano tantissime pregevoli iniziative, soprattutto in ambito editoriale. Ma, nella maggior parte dei casi, solo poche volte esse vengono promosse o semplicemente supportate dalle istituzioni».
Cosa la critica deve ancora scoprire del Vate?
«Ormai da anni, la critica sta svolgendo un ottimo lavoro di scavo dell’opera dannunziana. Ai critici si aggiungono i tanti biografi, e l’Abruzzo ne ha tra i più qualificati e prolifici, i quali, grazie alla pubblicazione di rilevanti carteggi, stanno approfondendo aspetti significativi della vita e dell’opera del nostro, rimasti per tanto tempo in ombra o relativamente ai quali per decenni si è data una errata interpretazione. Purtroppo, a fronte di tutto ciò, c’è ancora chi, per vendere D’Annunzio ne va diffondendo il solo l’aspetto erotico, ammesso e non concesso».
Quali soddisfazioni ha regalato alla tua vita D’Annunzio?
«Tante. In oltre trent’anni di attività culturale pubblica, ho dato alle stampe lavori conservati nelle più importanti biblioteche italiane e straniere. Ho portato l’Abruzzo in Italia e all’estero, cercando di far conoscere la nostra cultura e il nostro territorio. Che poi tutto questo passi anche per D’Annunzio, non significa certamente voler rimanere ancorati a un’epoca lontana, quanto piuttosto riuscire a trovare dal passato gli stimoli per crescere e far crescere tutto il territorio. L’aver raccontato a Budapest, a un pubblico ungherese che ti ascolta tramite l’interprete, quale valore avesse avuto la cucina abruzzese per lo scrittore lontano dalla sua terra, rimarrà uno dei ricordi più belli».
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Con l’editore Paolo de Siena, di Pescara, sto lavorando a un progetto che presenteremo, durante la prossima estate, all’Expo. E che, successivamente, dovrebbe approdare a New York, ospiti della Binghamton University».
Sei tra i promotori di un premio per il racconto breve, intitolato a Giammario Sgattoni, che è già alla decima edizione. Come è nata l’idea e che bilancio trai da questa esperienza?
«L’idea è nata da un gruppo di amici di Garrufo di Sant’Omero, qualche edizione prima che il Premio venisse intitolato a Giammario Sgattoni, intellettuale nato proprio a Garrufo. Il bilancio è sostanzialmente positivo, grazie anche all’apporto della locale Pro Loco. Abbiamo avuto concorrenti da ogni parte d’Italia, che hanno contribuito a diffondere la notizia del concorso. Ricordo che un anno partecipò la signora Franca Rame, moglie del Premio Nobel Dario Fo, la quale fu però esclusa dal concorso in quanto aveva fatto pervenire l’elaborato non in forma anonima, come invece richiesto dal regolamento».
Hai origini teatine ma lavori da anni a Teramo, nella biblioteca dell’Università. Come ci sei “finito”?
«Sono finito, tra virgolette, a Teramo nel 1993, dopo aver vinto un concorso quando, all’epoca, l’Università di Teramo non era ancora autonoma e dipendeva da quella di Chieti. Ci sono, invece rimasto quando, nel 1996, ho sposato una ragazza di Garrufo, e da allora sono diventato vibratiano. Successivamente, la nascita di due figli ha fatto il resto».
La biblioteca: un patrimonio di tutti. Cosa pensi dei problemi che sta vivendo una realtà importante come la Dèlfico?
«Il problema della Dèlfico è, purtroppo, lo stesso delle altre tre biblioteche provinciali abruzzesi; ma, certamente, non vale il detto “mal comune, mezzo gaudio”. Confesso che, al di là delle notizie di dominio pubblico, non conosco i reali motivi di questo stato di crisi. Benigni e Troisi avrebbero detto: non ci resta che piangere. Io vorrei dire: non ci resta che rimetterci alla sensibilità e all’attività dei nostri amministratori, ferme restando le oggettive difficoltà. Ora, c’è da augurarsi che l’espressione dei due attori e il mio modesto pensiero non andranno a coincidere. Sarebbe una iattura tremenda per l’intera comunità regionale».
Libri di carta o libri digitali? Quali scegli?
«Carta. Vuoi mettere il gusto del contatto fisico, il piacere di una lettura che ritengo più rilassante, e magari anche la soddisfazione di appisolarsi reclinando il capo tra le pagine di un libro?».
CHI È
Enrico Di Carlo è nato a Chieti il 18 settembre 1960. Dopo la laurea in Lettere, ha conseguito i Dottorati di ricerca in “Lingua e letteratura delle regioni d’Italia” (Università degli Studi di Chieti) e in “Epistemologia dell’informatica e mutamenti sociali” (Università degli Studi di Teramo). Lavora presso la Biblioteca umanistica dell’Università di Teramo. È iscritto all’ordine dei giornalisti dal 1987. È Deputato di Storia Patria negli Abruzzi. I suoi studi vertono prevalentemente sulla cultura abruzzese dell’Ottocento e del Novecento, e su Gabriele d’Annunzio relativamente al quale ha pubblicato numerosi saggi e carteggi. Gli ultimi lavori sono: Gabriele d’Annunzio e l’enogastronomia della memoria (Verdone, 2013, terza ed.) e Gabriele d’Annunzio. L’Abruzzo e i luoghi della memoria (de Siena, 2013). Svolge da trent’anni una intensa attività culturale. Manifestazioni da lui organizzate sono state allestite, oltre che in Italia, in Francia, e negli Stati Uniti.