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Il teramano che allena i super campioni del basket

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Giustino Danesi de Luca

Giustino Danesi de Luca

Conosco Giustino Danesi de Luca da quando eravamo al liceo. E lo ammiro per la sua ironia, la sua intelligenza e il carattere estroverso. All’epoca, però, ero molto più impressionato dalla grazia e dalla potenza con cui, nelle gare dei 110 ostacoli, superava le barriere. Giustino Danesi non è molto alto. E aveva (e ha) una muscolatura possente che, forse, poco si adattava alla sua specialità. Eppure, da ostacolista, sprigionava l’eleganza e la forza di un giaguaro. Una saetta micidiale, precisa e velocissima. Da molti anni sono più abituato a vederlo impegnato ai bordi del parquet con la sua Armani Milano. La forza. Il suo pallino.

Giustino Danesi de Luca, teramano, professione preparatore atletico dei campioni di basket di serie A. Ti sei laureato in Giurisprudenza e provieni da una famiglia di avvocati. Qual è stato il tuo percorso?

«È stato un percorso simile a quello di tanti ragazzi, almeno all’inizio. Da ragazzo praticavo atletica leggera, ero un ostacolista. Mi piaceva e mi allenavo con impegno costante. Questo mi consentì di accostarmi alla pallacanestro e di collaborare con alcuni allenatori. Ciò che pensavo sarebbe stata una piccola parentesi diventò ben presto un lavoro che, però, mi permetteva anche di studiare».

E il diritto?

«Devo dire che a me il diritto piaceva e lo studiavo anche con passione. Ma in quel periodo si può dire che la pallacanestro mi aveva già rubato il cuore. Avevo lavorato parecchio fuori e mi ero creato una piccola posizione che mi piaceva scandagliare ulteriormente. Insomma, alla fine hanno prevalso le ragioni della passione».

Cos’è che ti appassiona di più della pallacanestro?

«Spesso ripeto a chi mi sta accanto che abbiamo la fortuna di fare un lavoro che si chiama sport, con le sue componenti essenziali e autentiche. È vero che a questo livello è un lavoro duro, un’attività che ti costringe spessissimo a viaggiare e ti sottopone a una routine professionale molto impegnativa. Però è altrettanto vero che, alla fine dei giochi, la mattina ti alzi e vai comunque a lavorare in una palestra con gente giovane e con tutti i corollari di competitività e di passione che caratterizzano un’attività sportiva».

Danesi osserva i giocatori durante l'allenamento

Danesi osserva i giocatori durante l’allenamento

Allenare gli altri è anche un po’ allenare se stessi, o no?

«Direi che resta in chi allena, come quando si era giovani atleti, la spinta adrenalinica e la voglia di piacere e di competere che diventa in qualche modo una sana droga quotidiana. E poi è il basket a essere affascinante. In esso, non dimentichiamolo, hanno una grande importanza sia la preparazione fisico-atletica sia la componente tecnico-tattica. E questo ne fa uno sport molto completo».

Su cosa basi principalmente la tua preparazione?

«A detta di molti, il tratto distintivo della mia attività professionale è legato all’esigenza di lavorare in maniera adeguata sullo sviluppo della forza nelle sue varie componenti. Credo molto che un adeguato lavoro sotto questo aspetto condizionale specifico possa renderci assolutamente ben performanti. È chiaro poi che ci sono anche le altre componenti che occorre allenare come quella anaerobica ad esempio. Il mio pallino, però, è la forza. E non è facilissimo perché, avendo tante partite, bisogna sviluppare un metodo di lavoro funzionale a questo scopo».

Quante ore lavori al giorno?

«Non parlerei di ore, direi piuttosto che per noi non esiste il giorno libero. In una stagione agonistica arriviamo a giocare più di ottanta partite tra campionato, gare ufficiali ed Eurolega. E il giorno di riposo spesso viene utilizzato per gli spostamenti. Gli spazi liberi restano assai pochi per la verità».

Ci sono episodi della tua carriera in serie A che ancora oggi, ripensandoci, ti regalano emozioni forti?

«Dal punto di vista sportivo, un paio di cose sono facili da distinguere. Una è legata al primo anno che ho fatto l’Eurolega e abbiamo subito disputato la Final Four, che è il massimo a cui si possa ambire a livello europeo per chi vive di pallacanestro. Un’esperienza straordinaria, la sublimazione di tutto ciò che è il basket europeo. E poi, sinceramente, ogni singolo scudetto vinto è un qualcosa di straordinario perché c’è dietro il lavoro di un anno che vedi prendere forma nella vittoria. E vincere è bello».

Dell’avventura della Teramo Basket in serie A, durata quasi dieci anni, cosa pensi?

«Che mi dispiace moltissimo. Quello che riuscivo a percepire attraverso i contatti con la mia città era che si trattava di un fiore all’occhiello per Teramo che, con grande determinazione, era riuscita ad affacciarsi nell’élite del mondo del basket. Un’eccellenza di cui potersi far vanto e anche per me, lo confesso, un’occasione per tornare nella mia città svolgendo il mio lavoro, un’occasione che mi riempiva di soddisfazione ma anche di orgoglio. Mi dispiace davvero molto che non ci sia più una realtà di quel tipo anche se, è bene ricordarlo, la provincia di Teramo vanta da sempre una grande tradizione cestistica. Basti pensare agli anni di Campli e a quelli di Roseto. In Abruzzo anche Chieti ha vissuto un periodo d’oro e oggi Roseto e la stessa Chieti militano nella serie A2 Silver».

Cos’è che non ha funzionato dell’avventura della Teramo Basket secondo te?

«Da esterno non conosco come sono andate le cose e quindi non entro nel merito di quelle che sono state le dinamiche che hanno portato alla fine di quell’avventura. Posso dire, però, che ciò che è avvenuto a Teramo purtroppo sta accadendo un po’ dappertutto. La situazione economica del Paese si riflette negativamente su moltissime realtà sportive e sono tanti i club ad essere in difficoltà. Spesso scompaiono o devono ridimensionare in maniera sostanziale le proprie attività».

Chi è il più forte giocatore di basket di tutti i tempi?

«Non so se si può fare una classifica assoluta, io però sono legato emotivamente a un grandissimo giocatore, Shawn Kemp, detto the Reign Man (il Regnante, nella traduzione dall’inglese, ndr) perché ho avuto la possibilità di allenarlo a fine carriera per un breve periodo. Non era più in grado di competere come per anni aveva fatto dominando l’Nba, ma era comunque un atleta pazzesco, un grande saltatore. Mi faceva tenerezza perché, nonostante l’età, aveva ancora la voglia di lavorare in un certo modo».

Niente è impossibile, era uno slogan caro alla Teramo Basket, la pensi così anche tu?

«Un mio amico teramano al liceo diceva sempre che cominciare a credere all’impossibile è il primo passo perché l’impossibile avvenga. Una battuta, nient’altro. Ma io l’ho fatta mia e non l’ho mai dimenticata. In fondo chi avrebbe detto, qualche anno fa, che avrei fatto quello che sto facendo…».

Rinunceresti mai al tuo lavoro? E all’adrenalina che ti offre?

«Si dice sempre che se non si lasciasse niente o nessuno, non ci sarebbe spazio per il nuovo. E il nuovo può rappresentare una nuova sfida importante o comunque qualcosa di diverso. Tuttavia, anche se devo rinunciare quotidianamente a molti dei miei spazi liberi, questo sport mi dà ancora molti stimoli e io ho ancora voglia di mettermi in discussione. Credo che per i prossimi anni il mio percorso sarà ancora sui campi di basket».

MIlano si prepara ad affrontare Barcellona: Danesi prepara i giocatori

MIlano si prepara ad affrontare Barcellona: Danesi prepara i giocatori

CHI È

Giustino Danesi è il  preparatore atletico dell’EA7 Emporio Armani Milano. Nato a Teramo il 6 ottobre del 1967, ex ostacolista, Danesi a Siena ha vinto tre scudetti, tre Coppe Italia e due Supercoppe. Ha vinto il titolo italiano al primo tentativo a Milano. Ha cominciato la sua carriera a Campli in Serie B2 a 19 anni. Successivamente ha lavorato a Montegranaro, al Don Bosco Livorno, a Chieti nella femminile, a Teramo nella pallamano, di nuovo a Livorno nel 2000 dove lavora nello staff tecnico diretto da Luca Banchi. Nel 2004 torna a Montegranaro, nel secondo anno vince il campionato di Legadue e risale in Serie A, lavorando per coach Stefano Pillastrini. L’ultimo anno, stagione 2009/10, il capoallenatore invece è Fabrizio Frates. Nell’estate del 2010, lascia Montegranaro e passa a Siena dove rimane tre stagioni. Danesi ha lavorato anche nel settore squadre nazionali con la Under 20 in quattro differenti occasioni. È laureato in legge all’università di Teramo. Ha allenato il tennista Gianluigi Quinzi. Parla inglese e ceco.

 

Nicola Catenaro

Intervista pubblicata su “La Città quotidiano” del 6 febbraio 2015

di Nicola Catenaro

sabato 07 Febbraio 2015 alle 0:58

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