Rinuncia al posto fisso per l’attimo eterno
Città del Vaticano, 16 Marzo 2013. Siamo nell’Aula Nervi. È la prima udienza pubblica del neoeletto Papa Francesco, che riceve i 5.600 rappresentanti dei media giunti da tutto il mondo per il conclave. «Appena la sua figura si è materializzata in sala, la mia attenzione è stata subito attratta dalle tante mani protese in aria, impegnate a stringere una qualsivoglia apparecchiatura digitale di ripresa per riuscire ad immortalare il momento storico», racconta Adamo Di Loreto. È un attimo. Il fotoreporter abruzzese scatta e quell’immagine gli vale il premio “Gente e Popoli” del contest nazionale del National Geographic. Dura vita, quella del giornalista fotografico. Ce la racconta lui stesso in quest’intervista.
Com’è che hai deciso di fare il fotoreporter?
«È iniziato tutto per caso. Per anni mi sono interessato di fumetti. Poi, con l’avvento della fotografia digitale, ho pensato che forse potevo agevolare i miei racconti con la fotografia. Trasformare la passione in lavoro è stato un attimo ed oggi sono qui a fare il fotogiornalista».
Fumetti? Li realizzavi o li leggevi?
«Tutti e due. Li leggevo e li disegnavo insieme ad un altro amico. Avevamo realizzato un magazine di fumetti autoprodotto e raccontavamo principalmente le storie quotidiane del quartiere di San Donato a Pescara. Tutto da autodidatta, sia il disegno che la fotografia».
Fumetti e fotografia: che rapporto c’è tra le due cose?
«Per il genere di foto che faccio attualmente, per me sono simili. Io punto molto sull’inquadratura e sul senso di scattare o far passare l’attimo. Io credo che nelle foto, e anche nei fumetti, in ogni scatto, o riquadro, ci debba essere un soggetto. E quindi non sono un patito di attrezzature o altro».
Perché deve esserci sempre un soggetto nella foto?
«Perché la mia concezione della foto è che essa deve avere un senso, deve riuscire a raccontare un posto o un evento. Con il tempo, andando in giro per vacanza o per lavoro, ho capito che a raccontare un bel luogo non sono i monumenti o le piazze, ma sono i visi, le tradizioni e gli atteggiamenti delle persone che vi abitano».
Le storie, insomma…
«Sì, l’Uomo con la U maiuscola».
Qual è stata la tua prima esperienza di lavoro?
«La mia prima esperienza di lavoro collaborazione è stata nel campo sportivo. Provenendo da una località turistica, ho documentato diverse tappe dell’Abruzzo Beach Volley. E ho capito quanto la foto sportiva poteva venirmi in aiuto nell’apprendere in maniera veloce la tecnica e la pratica. Nello sport non puoi permetterti distrazioni, tutto avviene con rapidità. Meccanismi che difficilmente potresti imparare se ti concentri tanto nella foto di paesaggio».
La realtà in movimento ha bisogno di attrezzature potenti… O no?
«Certo, per le riprese sportive hai bisogno di attrezzature di alto profilo professionale. Con il tempo e con quel poco che guadagno, reinvesto tutto in formazione e attrezzatura. Questo è un settore dove non si finisce mai di comperare e apprendere».
Sempre più difficile riuscire a vivere di questo mestiere. Tu come ci riesci?
«È difficilissimo. A volte ho come l’idea che per vivere da fotogiornalista o da giornalista si debba essere di estrazione agiata. Io per guadagnare collaboro con diverse agenzie nazionali e internazionali e con redazioni nazionali. Con queste sono io che propongo servizi oppure sono loro a commissionarmeli. La notizia locale difficilmente riesci a fartela pagare. Oltre ai servizi editoriali, vivo con i lavori commerciali come la cura dell’immagine di alcuni marchi oppure sfrutto la mia professionalità nel coprire gli eventi aziendali a mo’ di reportage. Faccio anche il fotografo di scena per l’emittente americana NBC per i telefilm che girano in Italia».
Come è nata la foto con cui sei arrivato primo al contest del National Geographic?
«È nata anche grazie alla fortuna. In quei giorni seguivo il conclave per un’agenzia americana. A Roma pioveva in maniera costante e quindi mi bagnavo sempre sporcandomi e stropicciandomi tutti i vestiti buoni e di ricambio che avevo. Il giorno dell’udienza del Papa, nel comunicato stampa del Vaticano c’era scritto che bisognava presentarsi con vestiti consoni all’evento. Io, non avendo più vestiti buoni e puliti, sono andato lo stesso e le guardie Svizzere mi hanno sì fatto entrare ma accomodare in fondo alla sala. Quindi nel momento in cui è uscito il neo eletto Papa, ho realizzato da subito che il vero soggetto erano le tante mani alzate che immortalavano il momento storico. Pensa che l’annunciazione del Papa avviene con un segnale di fumo da oltre duemila anni mentre l’evoluzione nella comunicazione dell’uomo è andata avanti».
Che rapporto hai con il giornalismo? È un abito scomodo che usi per fare ciò che ti piace oppure una professione che senti tua?
«Fare il giornalista per me è una responsabilità non da poco. Io non ho mai commissionato a nessuno una foto da portare in agenzia. Sono del principio che devo sempre verificare e controllare di persona ciò che accade. Inoltre mi adeguo alle regole in cui vivo. In Italia c’è un Ordine per svolgere la professione e io sono iscritto. Ma da qui a dire che ho dei vantaggi, beh… personalmente non ne vedo. Il problema è il dilagante sfruttamento delle immagini da parte degli editori».
Quali eventi segui a Roma? O lavori anche in altre città?
«Io in questi anni ho investito molto su Roma perché è la città più vicina che mi offre notizie ed eventi di rilievo internazionale. Nella capitale seguo un po’ di tutto come la politica, sia alla Camera che al Senato, ma anche lo sport e la cronaca come le manifestazioni. Ho preso sempre più contatti a livello di pubbliche relazioni, è fondamentale per chi vuol fare questo lavoro. Anche perché lo scatto alla fine è l’ultima cosa. L’essenziale è esserci negli eventi».
Qual è la tua giornata tipo?
«Quando sono in ufficio, cioè a casa, fatto 100 il tempo di lavoro, questo è suddiviso per il 60% nell’inviare mail di proposte servizi, per il 20% nella rimessa in ordine degli archivi, per il 10% nella ricerca di nuove storie e per la restante parte in informazione personale. Mentre quando sono fuori per servizi, diciamo che la maggior parte della giornata è dedicata all’attesa. L’evento di solito ti porta poche ore d’attenzione e successivamente bisogna essere veloci ad inviare le foto in agenzia. Quindi bisogna essere molto bravi a realizzare foto già ben studiate e fatte in macchina».
Cosa consiglieresti a un ragazzo che voglia intraprendere la tua professione?
«Innanzitutto di muoversi per obiettivi. Se vuoi fare il fotogiornalista, devi iscriverti all’albo. Per far ciò devi trovare collaborazioni remunerative e se inizi con il regalare le foto difficilmente qualcuno te le pagherà mai e quindi non potrai viverci. Mentre per crescere a livello pratico devi portarti dietro con te sempre la macchina fotografica, non c’è altro metodo. Io attualmente quando esco senza reflex vengo richiamato dagli amici, mentre in passato mi dicevano il contrario».
CHI È
Adamo Di Loreto, 38 anni, fotografo di Silvi (Teramo), nasce in Germania, a Colonia, il 28 maggio 1975, ma tutta la sua formazione scolastica avviene in Italia. Si appassiona alle arti grafiche e si avvicina pian piano ai racconti di storie quotidiane con i fumetti. Finiti gli studi, lavora per oltre quindici anni in una multinazionale locale. Poi si iscrive all’Accademia delle Belle Arti. Con l’avvento del digitale, ha il suo primo approccio con la fotografia. Una folgorazione, che lo spinge a rinunciare al posto di lavoro fisso per iniziare la gavetta giornalistica.
Nicola Catenaro
Intervista pubblicata sul quotidiano “La Città” del 21 dicembre 2013