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«Vi racconto onde gravitazionali e futuro dell’Aquila»

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Eugenio Coccia, direttore del GSSI

Eugenio Coccia, direttore del GSSI

Eugenio Coccia non è solo uno scienziato. Nella sua carriera, iniziata al fianco di Edoardo Amaldi, uno dei Ragazzi di via Panisperna (il gruppo di studio guidato dal premio Nobel Enrico Fermi), vanta anche esperienze da manager  di centri di ricerca.

L’ultima in ordine di tempo è la direzione del Gran Sasso Science Institute, sorto a L’Aquila dove c’erano una volta le palestre dell’Isef e più di recente gli uffici della ricostruzione. Il presente della struttura è invece rappresentato da open space, biblioteche, sale riunioni. E dall’impegno di quasi un’ottantina di studenti provenienti da tutto il mondo.

Eugenio Coccia nella sala biblioteca del Gran Sasso Science Institute

Eugenio Coccia nella sala biblioteca del Gran Sasso Science Institute

Eugenio Coccia, quando e come è nato il progetto del Gran Sasso Science Institute?

«È nato subito dopo il terremoto. All’epoca dirigevo i Laboratori del Gran Sasso. Noi subimmo pochissimi danni mentre invece l’università dell’Aquila ebbe conseguenze molto serie. Ci chiesero ospitalità per le lezioni dei ragazzi che seguivano il corso di Fisica. E noi accettammo volentieri, concedendo le nostre sale e la biblioteca. Fu allora che, con alcuni colleghi dell’università, ci chiedemmo che cosa si poteva fare per rilanciare l’ateneo dopo il sisma».

Cosa temevate?

«La domanda ricorrente era questa: torneranno mai i giovani a studiare all’Aquila? Si doveva fare qualcosa per rilanciare la città, utilizzando se si vuole il terremoto come un’opportunità. E così nacque l’idea di una scuola internazionale di dottorato di ricerca basata sulle eccellenze aquilane. Una di queste è appunto la fisica dei Laboratori del Gran Sasso, frequentati da un migliaio di ricercatori, la maggior parte provenienti da fuori Italia, e noti in tutto il mondo per gli studi, molto attuali, sulla fisica dei neutrini, sulla materia oscura e sull’astrofisica nucleare».

L’idea di una scuola di dottorato di ricerca su cosa puntò?

«Sulle scienze cosiddette dure, ovvero fisica, matematica, informatica. L’occasione per presentare questo progetto fu una riunione che si svolse al Ministero dell’economia nel mese di luglio 2009, pochi mesi dopo il terremoto. Un incontro in cui l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, venne chiamata a scrutinare progetti che potessero rilanciare la città dell’Aquila e la sua economia».

Chi fu a presentare il progetto?

«A presentare il progetto di una scuola internazionale di dottorato fummo io, Paola Inverardi, allora preside della facoltà di Scienze e oggi rettore dell’ateneo, e Piero Marcati,  che dirigeva il dipartimento di Matematica. L’idea piacque moltissimo all’Ocse perché era basata sulla valorizzazione di eccellenze internazionali esistenti e riconosciute. E così iniziò l’iter per la sua realizzazione presso il Ministero».

Studenti a lezione in una delle aule del GSSI

Studenti a lezione in una delle aule del GSSI

Il progetto fu approvato da quale Governo?

«Dal Governo Monti, con ministri Fabrizio Barca e Francesco Profumo. Grazie a loro e all’impegno della Regione Abruzzo, allora il presidente era Gianni Chiodi, il progetto fu finanziato. In occasione del primo bando, ricevemmo più di 550 domande a fronte di quaranta posti disponibili. Un successo, dato che stiamo parlando di persone già laureate che vogliono intraprendere la carriera di ricercatore. Abbiamo fatto anche una seconda chiamata e ora le persone che stanno seguendo qui un corso di dottorato sono ottanta, per metà stranieri. Il prossimo anno, con un ulteriore bando, arriveremo a 120».

Da quali Paesi arrivano i corsisti?

«Oltre che dall’Italia, da ogni parte del mondo. Vietnam, Pakistan, Brasile e molti altri Paesi. Si sono laureati tutti in ottime università, molti degli stranieri in Europa. Gli ottanta corsisti presenti sono stati selezionati su milleduecento domande. Quest’ampia selezione ci ha consentito di scegliere davvero i più bravi».

La sede del GSSI a L'Aquila ospitava una volta l'Istituto superiore di educazione fisica (Isef)

La sede del GSSI a L’Aquila ospitava una volta l’Istituto superiore di educazione fisica (Isef)

Quanti sono i percorsi di dottorato possibili?

«Sono quattro: uno riguarda la fisica astroparticellare, quella dei Laboratori del Gran Sasso per intenderci: un altro riguarda la matematica nelle scienze naturali, sociali e della vita, e quindi la matematica applicata; il terzo sulla computer science, l’informatica dunque; il quarto sui cosiddetti urban studies, cioè sullo sviluppo economico e territoriale in termini di città. In ognuno di questi percorsi selezioniamo una decina di studenti ogni anno. Le lezioni si svolgono tutte qui. Anche i professori vengono da varie e prestigiose università. Tra di loro un Premio Nobel come Carlo Rubbia e docenti di Princeton, Chicago o del Max Planck tedesco. Anche in questo caso siamo riusciti a fare un’ottima selezione. E la risposta da parte degli studenti lo dimostra».

Gli urban studies, ovvero gli studi sullo sviluppo delle città che stanno portando avanti gli studenti, sono collegati al dibattito sul futuro dell’Aquila?

«Certo. E in qualche modo prendono spunto da ciò che è accaduto qui. L’Aquila si stava impoverendo già prima dell’arrivo del terremoto. Il sisma ha posto una questione fondamentale, relativa alla stessa sopravvivenza della città e a cosa deve diventare. Gli studi cercano di rispondere a domande fondamentali come questa e in generale si chiedono il perché alcune città prendono la strada del declino mentre altre hanno una resilienza maggiore e si avviano verso tutt’altro percorso».

Uno degli open space del Gran Sasso Science Institute

Uno degli open space del Gran Sasso Science Institute

Che idea vi siete fatti circa la strada che dovrebbe intraprendere L’Aquila per il suo futuro?

«L’idea è quella che L’Aquila debba diventare una città degli studi,  caratterizzarsi come città della conoscenza con una qualità degli studi molto elevata. Se facendo un esempio questa città potesse avere ventimila studenti residenti, ovviamente anche la sua economia cambierebbe e andrebbe in una direzione diversa da quella a cui stava tendendo. Per fare dell’Aquila una città attraente e competitiva come ad esempio Pisa o Trieste oppure, in ambito internazionale, Oxford o Cambridge, bisogna essere credibili. Il Gran Sasso Science Institute è nato per contribuire a questa credibilità e per far sì che lo sviluppo della città segua una traiettoria positiva e non calante».

Come evolverà il progetto del Gran Sasso Science Institute?

«Siamo in attesa della valutazione dell’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, al termine del triennio di finanziamento di questo progetto. Se la valutazione sarà positiva, come contiamo e come speriamo, diventeremo una università dottorale a tutti gli effetti come la Normale e il Sant’Anna a Pisa o la Sissa a Trieste, cioè università che fanno post-laurea, dottorato di ricerca, e potremo entrare quindi nel sistema pubblico dell’istruzione superiore. In questo momento noi siamo un centro di studi avanzati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare».

Parliamo di lei. Quando ha iniziato a fare ricerca?

«Da subito dopo la laurea, conseguita alla Sapienza nel 1980 con il gruppo di Edoardo Amaldi, il grande Edoardo Amaldi, uno dei Ragazzi di via Panisperna».

Lei presiede il Comitato Internazionale delle Onde Gravitazionali. Cosa dobbiamo aspettarci dalle ricerche sull’argomento?

«Entro due o tre anni al massimo riusciremo a rivelare le onde gravitazionali (predette nella teoria della relatività generale di Einstein, ndr), sarà una scoperta storica e importante quanto o forse più del bosone di Higgs, la famosa particella di Dio che tanto ha colpito mediaticamente. Una scoperta in cui il ruolo dell’Italia, grazie al gruppo di Edoardo Amaldi, avrà un ruolo fondamentale».

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L’interno del GSSI

Cosa significa captare le onde gravitazionali?

«Il paragone che si può fare è tra vedere e ascoltare. Nell’universo è come se noi vedessimo ma non fossimo capaci di ascoltare. Le onde gravitazionali sono perturbazioni dello spazio che si formano quando ad esempio esplode una stella o si forma un buco nero o quando due stelle che girano l’una intorno all’altra si scontrano. Fanno pensare alle onde che si formano quando si getta un sasso in uno stagno. Finora non abbiamo avuto strumenti sufficientemente sensibili per la rivelazione delle onde gravitazionali. Per farlo ci serviremo di potenti interferometri laser. Il più potente in Europa attualmente è a Pisa e si chiama Virgo, l’altro è in America e si chiama Ligo. Tra due o tre anni saranno loro a rivelare qualche sorgente nel cielo che emette questo tipo di perturbazioni».

Cosa saremo in grado di svelare con le onde gravitazionali?

«Con la rivelazione delle onde gravitazionali, sarà un po’ come se riuscissimo finalmente ad ascoltare l’universo. Avremo una conoscenza molto più completa, per esempio riusciremo a capire come sono fatti i buchi neri o cosa si nasconde al centro delle galassie».

Cosa la appaga di più della sua attività di ricercatore?

«Io penso che ogni ricercatore sia come un esploratore che sta a una frontiera che di fronte a sé è buia. Si tratta di illuminarla, di capire cosa c’è oltre. E di trasmetterlo nell’insegnamento ai più giovani. È questa la cosa straordinaria».

 

CHI È

Eugenio Coccia è Professore Ordinario di Fisica Sperimentale all’Università di Roma “Tor Vergata”  e Direttore della scuola di dottorato internazionale “Gran Sasso Science Institute” dell’INFN. Laureatosi alla Sapienza nel gruppo di Edoardo Amaldi, è stato Fellow al CERN di Ginevra e ha diretto gli esperimenti di ricerca di onde gravitazionali Explorer al CERN e Nautilus ai Laboratori INFN di Frascati. Partecipa all’esperimento Virgo a Pisa. È stato Direttore dei Laboratori INFN del Gran Sasso, è Presidente del Comitato Internazionale delle Onde Gravitazionali e Consigliere della Società Italiana di Fisica. Nel 2012 ha vinto il Premio Occhialini dell’Institute of Physics del Regno Unito per le sue ricerche sulle onde gravitazionali.

 

Nicola Catenaro

Intervista pubblicata sul quotidiano “La Città” il 22 gennaio 2015

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