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«Tocco ciò che mi tocca e toccando sono toccata»

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Un ritratto di Antonella Cinelli

Chi ha visto le sue “dolls”, bambole sospese tra plastica realtà e onirica morbidezza, sa di cosa si parla in questa intervista. Antonella Cinelli, artista teramana tra le esponenti più apprezzate del movimento della “nuova figurazione italiana”, interpreta l’essere umano esaltandone pieghe e qualità tendenti all’immortalità. E lo fa con un garbo classico e una grazia misteriosa che affascinano e avvolgono. Ma quando è iniziato il suo rapporto con l’arte? «Il mio rapporto con l’arte è iniziato molto presto. Mi è sempre piaciuto disegnare e creare piccoli oggetti e in famiglia sono  stata stimolata in tal senso. Sicuramente però un episodio in particolare ha segnato una svolta…

… Andavo alle scuole elementari e un giorno, di punto in bianco, riprodussi fedelmente una foto che avevamo in casa, appesa ad una parete. Mi accorsi allora che ero in grado di fare qualcosa di speciale e  ho sempre pensato che potesse essere un’opportunità».

Il liceo artistico di Teramo è stata una scuola di arte o di vita?

«Del liceo artistico di Teramo conservo un ricordo splendido. Una zattera di salvataggio nel mare in tempesta dell’adolescenza. La preparazione sia nel disegno che nelle materie teoriche è stata una base ottima per gli studi successivi e per il mio percorso artistico. Ma da un punto di vista umano è stato un luogo unico, accogliente e stimolante. La cosa importantissima che mi ha lasciato è l’educazione all’osservazione e all’analisi critica non solo riferita all’opera d’arte ma ad ogni fenomeno culturale. Un invito all’autonomia di pensiero, alla libertà espressiva e soprattutto alla possibilità di credere in noi stessi. Ricordo con affetto  tutti gli insegnanti, anche il preside Nerio Rosa ma forse il professore che più ha influito sulla mia formazione artistica è stato lo scultore Piero De Angelis».

A quale delle sue prime opere è più affezionata?

«Al mio primo quadro ad olio: il ritratto di mia nonna».

Il suo percorso formativo dopo il liceo qual è stato?

«Ho frequentato l’accademia di belle arti di Bologna dove mi sono diplomata in pittura nel 1997. Successivamente sono stata assistente di studio di un artista fino al 2003».

Quali sono le cinque tappe più importanti della sua carriera artistica?

«La prima tappa, quella che mi ha permesso di iniziare a confrontarmi con il pubblico, è stata la partecipazione, con la mia prima mostra personale nel 1993, a Castellarte. La seconda è stata la collaborazione con Bauta Arte di Mariarosa Dei Svaldi, una galleria di Montorio che per prima ha creduto nel mio lavoro seguendolo per anni. La terza tappa, la svolta , l’incontro nel 2003 con il critico Maurizio Sciaccaluga che ha imposto il mio lavoro all’attenzione nazionale con articoli  su riviste specializzate. La quarta tappa, l’inizio della collaborazione con la Fu Xin Gallery di Shanghai nel 2010, con cui ho iniziato un percorso espositivo internazionale. La quinta tappa è stata la partecipazione alla 54esima biennale di Venezia nel padiglione Italia Abruzzo, curato da Umberto Palestini, che mi ha aperto collaborazioni importanti».

Le "dolls" di Antonella Cinelli

Come sceglie i suoi soggetti?

«” Tocco ciò che mi tocca e toccando sono toccato” è una frase attribuita al famoso attore e mimo Decroux, sicuramente la sintesi più efficace per descrivere il processo di scelta della persona e della personalità che decido di raccontare attraverso la pittura».

Nelle sue opere spesso sono presenti le donne – pensiamo per esempio alle sue “dolls”, le sue bambole – e il loro rapporto con la moda. È attratta da questo connubio?

«Si può lavorare e riflettere solo su ciò che si conosce e dunque parlo del mondo in cui vivo cercando di raccontare le donne da una prospettiva femminile.  La costruzione dell’identità sociale della donna contemporanea occidentale, oggi più che mai, passa attraverso  i linguaggi della moda. Nel bene e nel male. Per me è inevitabile parlarne».

Ci parli del movimento artistico della nuova figurazione italiana.

«La nuova figurazione Italiana è un movimento artistico spontaneo nato tra gli ultimi anni del ventesimo secolo e i primi del ventunesimo, che ha come caratteristica il recupero delle tecniche pittoriche della tradizione artistica italiana per la realizzazione di opere d’arte contemporanee. In pratica una serie di giovani artisti in tutta Italia, contemporaneamente e senza conoscersi, ha iniziato a sperimentare e a fare ricerca artistica recuperando la pittura classica italiana. Il giovane Critico D’Arte Maurizio Sciaccaluga fu tra quelli che si accorsero del fenomeno valorizzandolo e dandogli un nome e soprattutto organizzandolo attorno ad un gruppo di gallerie d’arte, sparse in tutta la penisola, che hanno materialmente sostenuto il lavoro degli artisti. Io ne sono un’esponente proprio perché utilizzo la pittura tradizionale  convinta che abbia un’efficacia espressiva e comunicativa potente, capace di dialogare anche con forme d’arte più sperimentali».

Quanto di “fotografico” o di iperrealista c’è nella sua arte pittorica?

«Non sono un’iperrealista anche se spesso la mia pittura viene definita tale. Il mio modo di dipingere manca di quella maniacalità che insiste nella  descrizione del dettaglio. Sicuramente la fotografia è fonte di ispirazione e la utilizzo in fase preliminare sia per prendere appunti che per la preparazione dei bozzetti».

"Psyché", un'installazione di Antonella Cinelli

Come conciliare installazione e arte pittorica?

«Questa è la mia sfida ed è anche ciò che caratterizza il mio linguaggio artistico. Amo sia la pittura che l’arte concettuale. Per anni mi sono arrovellata sulla necessità di scegliere l’una o l’altra, poi ho capito che provare a conciliare le due cose forse poteva essere la strada che più mi apparteneva. In fondo le avanguardie storiche del secolo scorso ci hanno dimostrato che in arte tutto può essere utilizzato per la creazione di un’opera. Ho preso alla lettera questo esempio di libertà espressiva».

Lei è artista a tempo pieno: lavora nell’arte e per l’arte. Si considera fortunata?

«Mi considero fortunata e allo stesso tempo condannata ad una ossessione. Fare l’artista significa un po’ come prendere i voti o decidere di intraprendere una carriera militare. Inevitabilmente la vita viene condizionata totalmente dalla professione. Non è qualcosa che si sceglie, ci si ritrova posseduti dall’urgenza e dalla necessità di esprimersi e per poterlo fare liberamente bisogna che diventi un lavoro. La strada è molto, molto dura e comporta enormi sacrifici, grandissime rinunce e una determinazione incrollabile».

Come concilia la sua vita personale, necessariamente regolata, con quella artistica, necessariamente senza regole (almeno per quanto riguarda il flusso creativo)?

«Mi piace lavorare sempre e molto. È una disciplina che pratico in maniera costante tutti i giorni per diverse ore in silenzio. Più lavoro, più le idee prolificano. Il flusso creativo è nella mente sempre accesa e vigile in tal senso in ogni momento della giornata. Spesso per chiarirmi un’idea cammino senza meta per ore. Dipingere è il premio, l’atto liberatorio finale. Dipingerei di notte ma da quando sono diventata madre è praticamente impossibile. Ho dovuto modificare le mie abitudini. All’inizio è stata dura, poi le necessità espressive hanno preso il sopravvento, quasi come se fossero dotate di un istinto di sopravvivenza autonomo, e così mi sono adattata ai nuovi orari. Dipingere e creare rimangono comunque le isole felici di una professione che ha ben altre complessità. Spesso è difficile conciliare le necessità familiari con l’aspetto mondano di questo lavoro legato agli eventi e al contatto con il pubblico che inevitabilmente ti costringono a spostamenti a volte frenetici e ad orari improponibili».

Cosa le manca di Teramo?

«Di Teramo mi mancano l’aria i profumi, la quiete, il contatto con la natura e la semplicità nei rapporti umani con i colleghi. A Bologna, dove vivo, è praticamente impossibile avere uno scambio costante e sereno con altri creativi. I rapporti più stimolanti che continuano ad arricchirmi rimangono tuttora in Abruzzo».

Cosa manca invece a Teramo?

«Dal mio punto di vista e dunque per quanto riguadagna le necessità di un artista, mi sento di dare una risposta forse un po’ banale. A Teramo mancano gli stimoli, soprattutto culturali, della grande città e le opportunità  lavorative che nascono da questo. Essere però un piccolo centro non significa per forza di cose non poter ambire ad una vivacità e ad una ricchezza nella proposta culturale, in Italia ci sono esempi eccellenti che lo confermano. Teramo è un luogo meraviglioso, ricco di potenzialità che a volte rimangono inespresse a causa di una splendida quiete. Se però si avesse il coraggio di puntare sulla cultura come risorsa valorizzando ciò che il territorio ha, per esempio i numerosi talenti che possiede e che stanno girando il mondo, diventerebbe un posto unico dove, ne sono convinta, molti sceglierebbero di venire a vivere per creare. Comunque di recente cose molto interessanti si stanno facendo in tal senso, il mio auspicio è che sia solo l’inizio».

CHI È

Antonella Cinelli è nata a Teramo nel 1973. Si è laureata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Fa parte del movimento artistico della “nuova figurazione italiana”. La sua carriera espositiva è iniziata nel 1993. Ha esposto in Inghilterra, negli Stati uniti e in Asia e, tra  le varie mostre in Italia, al Museo della Permanente di Milano, al Museo Mazzucchelli di Brescia, al Museo Marino Marini di Firenze e all’Aurum di Pescara. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private tra le quali: Fondazione Carisbo di Bologna, Fondazione Vignato di Vicenza, Museo Civico di Vasto, Fondazione Fabbri di Bologna e Fondazione  Il Vittoriale degli Italiani a Gardone di Riviera.  Nel 2006 ha vinto il primo premio per la pittura nel concorso nazionale per l’arte Premio Celeste. Nel 2011 è stata invitata ad esporre alla 54° biennale di Venezia nel padiglione Italia-Abruzzo.

Nicola Catenaro

Intervista pubblicata su “La Città quotidiano” del 6 marzo 2014

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