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Ruzzo, la (im)possibile missione di Forlini

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Antonio Forlini

Ruzzo missione impossibile? A guardare i bilanci, che segnano un passivo di 95 milioni di euro, chiunque sarebbe tentato dall’idea di desistere dall’impresa. Non sembra invece spaventato Antonio Forlini, manager di lungo corso all’Amadori (dove ha la responsabilità di alcuni settori strategici e la gestione di tutto il personale, circa settemila dipendenti) e neo presidente della Ruzzo Reti da qualche settimana. L’idea di partenza è che la Ruzzo, fin quando si occupava solo di distribuzione idrica, era un’azienda sana con un surplus finanziario. Poi le cose sono cambiate. L’aver ereditato dai Comuni la gestione dei depuratori e della rete fognaria ha costretto l’azienda ad effettuare investimenti superiori alle disponibilità del momento.

Antonio Forlini, quale sarà il nuovo corso della Ruzzo Reti?

«Premesso che io mi sono insediato da poco più di due settimane e il quadro della situazione è ancora approssimativo e non sufficientemente dettagliato da poter definire la sequenza dei singoli passaggi, è evidente che mi sono dato una serie di priorità. Sono partito dalle evidenze che ci sono nei bilanci di un’azienda che ha una certa quantità di debiti ma anche una certa quantità di crediti. Su questo faremo leva per lavorare nelle prossime settimane e quindi anche nei prossimi mesi su un’analitica pianificazione finanziaria. È chiaro che la criticità numero uno per la Ruzzo Reti è il governo dei flussi di cassa».

Quanti debiti ha la Ruzzo Reti?

«Novantacinque milioni di euro, tra debiti nei confronti di banche e fornitori, dei Comuni e dell’Ato (l’autorità d’ambito dell’acqua che controlla il servizio idrico integrato, ndr)».

Com’è possibile che un’azienda che fornisce un bene pubblico essenziale accumuli così tanti debiti?

«Le ragioni sono molteplici. Tra le principali, quelle che vedo e di cui mi hanno riferito, c’è innanzitutto il fatto di aver ereditato dai Comuni, all’inizio del Duemila, la rete fognaria. Fin quando si occupava solo di distribuzione idrica, infatti, la Ruzzo era un’azienda sana, con un surplus finanziario e Bot depositati in banca».

Poi cosa è accaduto?

«L’aver ereditato dai Comuni la gestione dei depuratori e della rete fognaria, ha aumentato in maniera esponenziale la complessità e la necessità di investimenti. Tali investimenti avrebbero dovuto essere remunerati attraverso un complesso sistema di definizione della tariffa che in parte è avvenuto e in parte no, soprattutto per ciò che riguarda gli investimenti. Paradossalmente, quindi, il bilancio appare in equilibrio sul fronte del conto economico ma non su quello patrimoniale perché gli investimenti effettuati negli anni sono stati maggiori rispetto a quelle che erano le disponibilità del momento».

C’è chi punta l’indice anche sulle assunzioni clientelari. Lei che ne pensa?

«Non ho gli elementi per poter giudicare questo aspetto. L’azienda in questo ha 239 dipendenti».

Quelli che le servono?

«Lo verificherò, nei prossimi mesi, e sulla base di questa analisi andremo a costruire la nuova pianta organica della società. Posso comunque dire che l’ultimo piano d’ambito, quello in base al quale si definiscono le tariffe, prevedeva una progressiva riduzione del personale».

Sarà necessario aumentare le tariffe?

«Le tariffe sono eterodeterminate. Prima ci pensava l’Ato, ora è l’Authority sull’energia e il gas. Come vede, non ci sono molti spazi per incrementare i ricavi. Si lavorerà sicuramente sulla razionalizzazione dei costi per elevare il sistema in termini di efficientamento e, poi, faremo un’attenta ricognizione di debiti e crediti che, nel corso degli anni, dovrà portare a una progressiva riduzione del debito. È chiaro che una politica del genere non potrà esaurirsi nel mio mandato, ce ne vorranno almeno due».

Finora abbiamo parlato di debiti, non di crediti…. La Ruzzo vanta quanti crediti?

«La Ruzzo vanta circa 50 milioni di euro di crediti…».

Nei confronti di?

«Il credito maggiore esiste nei confronti dell’Aca, l’azienda acquedottistica pescarese, che ha una situazione debitoria addirittura più pesante ma che, in questo momento, sta cercando di attuare un piano di rientro se vogliamo anche più rigido del nostro. Nel piano di rientro, ovviamente, figurano anche gli importi che l’azienda pescarese ci deve».

Ritiene di potercela fare?

«Sì, credo di sì. Se mi verrà lasciato il tempo di farlo».

Ha dettato delle condizioni ai suoi interlocutori?

«Non ce né stato alcun bisogno. Probabilmente chi ha fatto il mio nome, ha agito nella convinzione che fosse ora di cambiare registro. Mi è stata data la libertà di lavorare nell’interesse dell’ente».

Sente la sua come una nomina politica?

«Anche se ultimamente mi sono cimentato in una competizione elettorale all’interno di un partito (Scelta civica, ndr) e quindi ammetto che questo fattore può aver giocato un ruolo, mi sento più un tecnico prestato alla politica».

 Nicola Catenaro

Da “Unindustria” (magazine di Confindustria Teramo) n. 50 ottobre 2013 

di Nicola Catenaro

sabato 09 Novembre 2013 alle 16:21

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